Israele in prima linea ad Haiti

L'intervento umanitario nel "dna" del paese

di Dan Rabà

Quando nel mondo, in qualsiasi angolo della terra, accade una catastrofe naturale, si verifica un atto di terrorismo di massa e ci sono persone in pericolo, per gli israeliani suona come un segnale di allarme rosso. Il popolo di Israele ha una lunga storia alle spalle che lo rende in qualche modo "specializzato in catastrofi". Non fu il vecchio Noè, con la sua brillante idea dell' Arca, che salvò il genere umano e gli animali? Gli israeliani di oggi non vogliono essere da meno.
Dediti alla missione, quando scatta un allarme, per esempio il possibile scoppio di una guerra, l'aviazione e i piloti israeliani aspettano la chiamata già pronti sull'aereo con i motori accesi. Sembra una metafora di come si vive nei pressi di Tel Aviv. L'esperienza di Israele è tale che, nelle catastrofi altrui, i suoi cittadini sentono il bisogno di correre in aiuto. Questo è successo quando lo tsunami ha devastato il lontano Oriente e si sta ripetendo in questi giorni ad Haiti. Appresa la notizia del terremoto, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha deciso di inviare una prima delegazione sulla penisola per capire i tipi di aiuti necessari. Questo gruppo, atterrato ad Haiti giovedì scorso, è già al servizio della popolazione della capitale e dovrà coordinare anche la distribuzione di parte degli aiuti umanitari provenienti dagli Stati Uniti. Oltre ai duecento uomini già giunti da Tel Aviv e grazie alle loro segnalazioni, nei prossimi giorni è previsto l'arrivo di ulteriori attrezzature utili ai soccorsi.
Dopo aver raggiunto la capitale, gli israeliani si sono spostati in altre zone del paese dove lavoreranno soprattutto per recuperare e identificare i corpi delle vittime. A tal fine stanno anche costruendo cliniche di fortuna il cui personale, in cooperazione con la Croce rossa americana, aiuterà a cercare i dispersi.
Uno dei primi uomini ad essere ritrovato dagli israeliani è stato Frances Gilles, rimasto intrappolato per quattro giorni sotto le macerie di un palazzo istituzionale. Gilles era riuscito a chiamare un familiare e aveva spiegato esattamente dove si trovava. Appena i delegati israeliani avevano saputo i dettagli, si erano messi in azione per recuperare l'uomo.
Gli israeliani, gli ebrei scampati ai campi di sterminio, sono segnati da una cicatrice che è anche una muta accusa al mondo che, nel corso della seconda guerra mondiale, non venne in soccorso in tempo. I nonni o i padri dei soccorritori giunti ad Haiti sono stati a lungo profughi, senza casa e senza cibo. Ecco che si capisce perché la voce dolorante di un uomo che sta per morire ricorda alle nuove leve israeliane i racconti delle sofferenze subite dai loro antenati.
E così, in occasione delle catastrofi internazionali, i figli e i nipoti dei superstiti della seconda guerra mondiale sentono il dovere "etico" di partire e offrire il loro aiuto, anche ai paesi "nemici". E non importa che ci siano nazioni che quell'aiuto per estremismo politico lo rifiutano.
Ma c'è un altro aspetto da tenere presente per capire il coinvolgimento immediato degli israeliani nelle emergenze internazionali: in qualsiasi parte del mondo è facile trovare loro concittadini, gente alla ricerca delle radici familiari o più spesso giovani viaggiatori che vogliono scappare o dimenticare la loro esperienza militare. Ecco perché quando accadono catastrofi, anche fuori del paese, molte famiglie sono in allerta per i loro cari. Stando alle cifre attuali, sarebbero otto i dispersi israeliani ad Haiti.
Presto sull'isola arriveranno altri medici, paramedici e ingegneri che possano affiancare la delegazione già al lavoro. In uno dei primi ospedali da campo israeliani è anche nato un bambino. La mamma non ha avuto dubbi sul nome da dargli: Israel.

(Europaquotidiano.it, 19 gennaio 2010)